La movimentazione di carichi leggeri ad alta frequenza (ovvero quello che in gergo viene definito lavoro ripetitivo) è una pratica molto diffusa, e spesso necessaria, in diversi settori e luoghi di lavoro. Come molte attività umane, però, comporta rischi e pericoli che devono essere valutati con anticipo e, possibilmente, evitati.
Questo è possibile attraverso alcune buone pratiche organizzative e l’applicazione di modelli di progettazione e comportamenti volti a garantire il benessere dei lavoratori. In altre parole, è necessario adottare un approccio ergonomico, che permette di prevenire gli effetti negativi sulla salute e sul rendimento dei vari operatori. Vediamo quali sono i fattori da tenere in considerazione e su cui intervenire.
Rischi per la salute e il rendimento legati ai compiti ripetitivi
Tra le conseguenze più comuni dei compiti che prevedono la ripetizione in serie dello stesso movimento anche se con carichi leggeri, ci sono il dolore e l’affaticamento. Se protratti nel tempo, questi disturbi possono dare luogo a problematiche di altro tipo, come patologie all’apparato muscoloscheletrico (come la sindrome del tunnel carpale), una ridotta produttività e un peggioramento della postura e della coordinazione dei movimenti.
Quest’ultima, in particolare, può avere conseguenze anche sul piano pratico, con un aumento del margine di errore, una diminuzione della qualità del lavoro e una maggiore esposizione a situazioni pericolose.
Per questo, è importante che datore di lavoro e operatori adottino tutte le misure necessarie per limitare i fattori di rischio correlati a questo tipo di mansione.
I fattori di rischio dell’attività ripetitiva degli arti superiori: movimenti, postura, forza e altri elementi
I fattori di rischio nel lavoro ripetitivo comprendono i movimenti, la postura, la forza, i tempi di recupero e altri fattori di natura fisica o psicosociale che possono essere presenti: analizziamoli tutti nel dettaglio.
I movimenti: velocità e accelerazione, frequenza e tempo
Per definire un’azione tecnica sicura o meno è necessario prendere in considerazione alcuni altri elementi, come:
- la velocità e l’accelerazione del movimento: possono esserci movimenti svolti in modo molto rapido o molto lento;
- la frequenza di ripetizione: movimenti in rapida successione senza pause fra loro sono meno sostenibili rispetto ad azioni svolte più raramente e con un adeguato tempo di recupero;
- il tempo di esposizione, ovvero in quanto tempo si esaurisce il movimento? Più sarà lungo e maggiore sarà l’attenzione che sarà necessario prestare anche agli altri fattori di rischio.
Per poter giudicare se la frequenza e l’esecuzione dei movimenti sono accettabili, è essenziale considerare anche l’eventuale esercizio di forza, la postura adottata, il tipo di presa, e la presenza o meno di fattori di rischio fisici o piscosociali.
La postura: una questione di angolo, frequenza e mantenimento
Una posizione sbagliata può essere causa di diversi disturbi ed errori di esecuzione.
Anche per la postura è possibile individuare le 3 proprietà di grandezza, ripetitività e durata già declinate sui movimenti che, in questo caso, corrispondono a:
- l’angolo dell’articolazione: ovvero l’ampiezza del gesto che si deve fare per compiere il movimento allontanandosi dalla posizione “anatomica” naturale di riposo (ad esempio, l’estensione o la flessione del braccio può condizionare l’articolazione del gomito; lo spostamento del braccio agisce sull’articolazione della spalla; la presa e la rotazione del polso, invece, esercitano pressione sull’articolazione della mano e dell’avambraccio);
- la frequenza di raggiungimento della postura: ovvero quante volte viene assunta una determinata postura nell’arco del turno di lavoro e se comporta rischi in termini di perdita di elasticità di muscoli e tendini o lesioni;
- il tempo di mantenimento della postura, ovvero per quanto a lungo la posizione viene mantenuta. Questo può riguardare lavoratori che operano in piedi o seduti.
Correggere le posture incongrue è dunque fondamentale per prevenire e limitare i rischi da sovraccarico biomeccanico.
La forza: generata e applicata, la frequenza e la durata di esercizio
Per la forza valgono le stesse grandezze che abbiamo applicato ai movimenti e alla postura che, in questo caso, si traducono in:
- forza generata e applicata: ogni movimento va considerato e valutato sulla base dei muscoli e dello sforzo specifico che richiede, per cui è necessario rifarsi a una scala di misurazione specifica (scala di Borg);
- frequenza di applicazione della forza: non tutte le azioni richiedono forza, ogni quanto si ripetono quelle che, invece, la prevedono?
- tempo in cui la forza viene esercitata: la durata di applicazione della forza è un altro aspetto importante e deve essere bilanciata da adeguati momenti di recupero.
Il recupero funzionale
Il recupero funzionale è infatti una prassi organizzativa che consente di equilibrare gli sforzi fatti riportando il corpo in condizioni ottimali. Perché sia davvero efficace, è necessario che la sua durata sia adeguata e calcolata in rapporto al tempo lavorato.
Ad esempio, per quanto riguarda gli arti superiori, la proporzione tra periodo di lavoro e riposo è di 5 a 1. Questo significa che, a seconda dell’unità di misura adottata, bisognerà prevedere un tempo congruo di pausa. Ipotizzando una forbice di un’ora, 50 minuti saranno dedicati allo svolgimento del compito senza interruzioni e 10 saranno invece destinati alla pausa.
Anche la vicinanza della pausa al periodo di lavoro è importante. Mentre qualora il recupero non fosse previsto o venisse evitato, si potrebbe incorrere in un calo della prestazione e in un aumento di malattie e disturbi.
Fattori fisici e psicosociali
Esistono infine fattori esterni che possono concorrere alla presenza di un rischio legato alla movimentazione manuale dei carichi. Questi si distinguono in fattori fisici e psicosociali,
Tra i fattori fisici rientrano (a titolo esemplificativo e non esaustivo): l’uso di strumenti vibranti, la vicinanza a fonti di calore o gelo, l’adozione di strumentazione o equipaggiamento che limita i movimenti, condizioni di lavoro non ottimali o sicure (pavimenti scivolosi, oggetti in caduta, ecc.).
La letteratura in materia di fattori psicosociali e la loro associazione con patologie muscoloscheletriche è piuttosto ampia ma non ha prodotto conclusioni concordi. Tuttavia è riconosciuta l’influenza esercitata da condizioni di ansia, stress, depressione sulla manifestazione di patologie fisiche e sul rendimento del lavoratore. Anche richieste eccessive, uno scarso controllo sul proprio lavoro e un basso supporto sociale possono concorrere a peggiorare la situazione.
Per tutti questi motivi, è necessario informare adeguatamente tutto il personale dell’azienda (compresi dirigenti e manager) e organizzare il lavoro di conseguenza.